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Panopticon e social media: la sorveglianza nel mondo digitale

If you torture the data long enough it will confess to anything

Ronald Coese

Una sorveglianza perfetta messa in atto da web e social media, talmente perfetta che spesso noi utenti nemmeno ci accorgiamo di essere osservati.

Oggi giorno, l’innovazione tecnologica ha portato la società a passare la maggior parte della propria vita online e a condividere nel web informazioni e dati personali

I social network sono entrati a far parte della quotidianità così tanto che ci si chiede quasi cosa si facesse prima del loro avvento. Questi permettono una circolazione di contenuti e l’instaurazione di relazioni online che possono essere utilizzati anche per scopi legati al marketing. Istituzioni e aziende infatti sfruttano i dati per mettere in atto una profilazione dell’utente e prevederne i comportamenti.

È importante fare un parallelismo tra la raccolta di dati e la conseguente sorveglianza con un famoso progetto: il Panopticon.

Di cosa si tratta?

1. Il Panopticon di Bentham, un carcere ideale

“Un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima”

Jeremy Bentham

Controllo è la parola d’ordine quando ci si riferisce al Panopticon

Il nome Panopticon è composto da “opticon” che significa “controllo” e pan ovvero “tutti”.

Ideato da Jeremy Bentham, è una struttura carceraria che permette ad un solo sorvegliante di controllare diversi soggetti.

Questo progetto è di per sé molto semplice: grazie all’architettura circolare dell’edificio, costruita attorno ad una torre centrale, si può ridurre la sorveglianza ad una sola guardia e allo stesso tempo far sì che i carcerati pensino di essere sempre sotto osservazione.

Ogni carcerato si trova isolato dagli altri in celle equidistanti e non può vedere la guardia collocata all’interno della torretta.

In questo modo ha la percezione di essere costantemente controllato senza che effettivamente lo sia. Il controllo proviene da parte di un soggetto che, per il prigioniero, di fatto è invisibile.

L’invisibilità del sorvegliante porta il criminale a comportarsi come se fosse sempre osservato e a rispettare quindi le regole. 

Lo scopo ultimo è la riabilitazione del condannato che non metterà in atto comportamenti scorretti e imparerà il rispetto della disciplina. L’isolamento e la buona condotta portano ad una profonda riflessione.

I prigionieri in sostanza si controllano da soli. L’obiettivo del Panopticon di Bentham è quello di far interiorizzare un certo comportamento “buono” nei prigionieri così, una volta usciti, non saprebbero comportarsi diversamente. Ciò che hanno imparato all’interno della propria cella diventa l’unico modo di comportarsi possibile all’interno della società.

1.2 Michael Foucault, la sorveglianza nella società

Michael Foucault, filosofo francese, si dedica a temi che riguardano la disciplina e il capitalismo. Sfrutta perciò il progetto di Bentham per i suoi studi, raccolti in “Sorvegliare e punire”.

Foucault dice che questa struttura è utilizzata in diversi ambiti: nelle fabbriche, nelle scuole, negli uffici e soprattutto nella rete attraverso i social media.

Prima di parlare del nuovo mondo sul web, è però importante spiegare in che modo il filosofo adatta l’idea del Panopticon e ne prende ispirazione per l’elaborazione delle sue riflessioni. 

Secondo Foucault, i meccanismi che regolano la vita della società sono analoghi a quelli che coordinano il suo scorrere all’interno del Panopticon e delle carceri in generale. 

La vera differenza sta nell’impercettibilità della sorveglianza nei confronti della società che, nonostante il continuo controllo, non si rende conto di essere osservata.

In particolare, afferma che l’obiettivo ultimo è quello di avere una società standardizzata, questo perché un mondo dove tutti la pensano allo stesso modo è più semplice da controllare.

Per fare ciò pensa ad un sistema a premi: se rispetti le regole che ti sono imposte ricevi un premio altrimenti vieni punito. Il pensiero di Foucault, come anticipato prima e come approfondiremo poi, può essere trasposto ai tempi moderni. Infatti, fa emergere chiaramente il modo in cui i social media influenzano a livello psicologico l’utente.

1.3 Carcere di Santo Stefano

Piccola curiosità: in Italia, nel 1795 è stato costruito sull’isolotto di Santo Stefano, vicino all’isola di Ventotene, un carcere che rispetta l’architettura del Panopticon: il carcere di Santo Stefano.

L’unica differenza rispetto al Panopticon originale è la semi circolarità della struttura. Al centro del semicerchio vi è, proprio come pensato da Bentham, una torretta che permetteva alle guardie di controllare i detenuti. Ovviamente senza che questi abbiano la possibilità di vedere il sorvegliante. Il carcere è oggi dismesso da ormai 55 anni.

1.4 George Orwell: 1984

Un’applicazione tecnologica del Panopticon la troviamo in “1984”, un famoso romanzo di George Orwell.  Nel libro descrive la Terra proprio come il famoso carcere ideato da Bentham.

Il controllo in questo caso è effettuato da un sistema televisivo bidirezionale a circuito chiuso. Il tutto diretto da una persona, che con molta probabilità è inesistente, chiamata “Grande Fratello”. 

Elemento importante è che i “teleschermi” sono costantemente accesi nelle case dei cittadini e hanno una duplice funzione: trasmissione e ricezione.

Il loro ruolo è centrale perché monitorano tutto ciò che avviene all’interno delle mura domestiche e lo trasmettono via cavo alla polizia. Quest’ultima svolge quindi una funzione di sorveglianza, proprio come la guardia all’interno della torre centrale del carcere.

I cittadini non sanno mai quando il centro di controllo li sta osservando e per questo motivo possiamo fare un parallelismo con l’invisibilità del sorvegliante studiata nel Panopticon di Bentham. 

1.5 PanoptiCam stream

Il progetto di Bentham non si ferma. Anche dopo la sua morte il filosofo porta avanti in un modo un po’ particolare il suo pensiero e lo lascia in eredità alla UCL University.

Nel suo testamento chiede che il suo scheletro venga esposto al pubblico.

Infatti, presso la UCL, si trova il memoriale di Bentham che, grazie ad un progetto avviato nel 2015, contiene una telecamera

Quest’ultima, fino alla sua disattivazione, registrava i movimenti dei visitatori e venivano trasmessi in diretta streaming. 

I responsabili del progetto si sono posti subito delle domande sul problema dell’eticità di questo tipo di controllo.

L’università a questo proposito scrive sul blog relativo al progetto e con estrema fermezza afferma “We have checked!”, ovvero “Abbiamo controllato!”.

La UCL sostiene che l’osservazione dei comportamenti delle persone negli spazi pubblici sia per loro accettabile fintanto che i singoli individui non vengano identificati in alcun modo. Inoltre, è stato reso ben chiaro a tutti i visitatori del memoriale che è in atto la registrazione della stanza rendendoli così consapevoli.

In sostanza, la registrazione di questo spazio pubblico, per il tempo che PanoptiCam è rimasto operativo, non ha comportato particolari pericoli o rischi.

Logicamente, si dà per scontato il mantenimento da parte delle persone di un comportamento che, normalmente, rientra nei limiti dell’educazione e umanità accettabile tenuto di solito in uno spazio pubblico e non privato.

La UCL University spera che il progetto PanoptiCam, oltre che ad occuparsi dello sviluppo di un algoritmo di sorveglianza, abbia portato ad una attenta discussione sul controllo.

1.6 Panopticon Pandemonium 

Panopticon Pandemonium è un gioco ispirato al famoso progetto. Si tratta infatti di una simulazione del carcere, con le celle poste contro la parete circolare e una torre di controllo centrale.

Il gioco rappresenta la prima costruzione virtuale di un Panopticon funzionante.

Il giocatore, che assume il ruolo di direttore della prigione, deve assicurare il corretto funzionamento della struttura con la sua gestione. Inoltre, deve bilanciare la riabilitazione del criminale e la sua “felicità” con la disciplina, la punizione e la sorveglianza. Il gioco virtuale ha permesso di entrare pienamente nelle dinamiche di quello che anni fa non era un gioco ma una realtà.


2. Il Panopticon della rete

Nonostante Michael Foucault sia morto prima della nascita di Internet, i suoi studi sul condizionamento della società in relazione al potere si riflettono sul web.

I social non sono solo uno strumento che permette una comunicazione orizzontale e uno scambio di informazioni, ma partecipano alla costruzione della nostra identità.

I social network sono una sorta di vetrina sulla vita di ogni utente che condivide con il resto del mondo le proprie esperienze e preferenze. Sappiamo di essere osservati ma non sappiamo il quando.

“Visibilità consapevole e permanente…”

Mark Zuckerberg

2.1 Panopticon virtuale

Parliamo quindi di quella che è l’applicazione moderna e più recente del Panopticon di Bentham: la rete.

Soprattutto all’interno del social network, tendiamo a riprodurre i comportamenti che normalmente abbiamo offline sulle piattaforme online.

Il primo passo per far parte di questo sistema è la creazione di un nostro profilo. Il secondo la condivisione di dettagli ed esperienze personali.  

La condivisione è il fulcro di tutti i social, ma non si tratta di una semplice diffusione online di pensieri o preferenze, riveliamo a tutti aspetti intimi della nostra personalità. Spesso la nostra identità si forma anche attraverso il mondo del web su social network, forum o blog..

Proprio per la natura e l’architettura delle piattaforme siamo portati a diffondere contenuti.

Siamo inoltre sempre esposti: si parla di una vera e propria performance dell’utente di fronte a un pubblico. Un pubblico decisamente numeroso.

Il pubblico però non è composto dalla sola cerchia di amici di cui ci siamo circondati online: i nostri contenuti sono potenzialmente visti anche da un pubblico sconosciuto o indesiderato.

Renderci visibili a un enorme numero di persone, rendere pubbliche le nostre azioni ci porta immediatamente all’interno di un Panopticon virtuale.

A differenza del Panopticon di Bentham, dove troviamo dei soggetti diversi e ben definiti (le guardie e i criminali), nel web non esiste una distinzione netta: chiunque è sia guardia che prigioniero. Ognuno osserva e giudica implicitamente ciò che viene pubblicato dall’altro.

Tramite la condivisione online, rendiamo di pubblico dominio le nostre azioni come se si parlasse costantemente ad una folla, anche nello svolgimento di banali attività quotidiane. 

Questo soddisfa senza alcun dubbio un profondo bisogno di riconoscimento ma porta con sé conseguenze importanti.

Il singolo è monitorato non solo da altri utenti, ma è anche registrato dal social stesso per produrre analisi di mercato o pubblicità personalizzate.

Spesso l’utilizzatore non è a conoscenza della raccolta di dati, altre volte invece ne è consapevole e la accetta senza pensarci due volte rinunciando alla propria privacy.

3. Sorveglianza prima e adesso

Surveillance
Immagine di Matthew Henry

L’asimmetria del Panopticon, dove una sola persona vede e tutti gli altri non vedo, si presta in maniera perfetta all’illustrazione del controllo sociale.

La sorveglianza ha avuto una ripida ascesa all’interno di molte discussioni negli ultimi anni.

Si nota un deciso cambiamento rispetto al passato.

Prima dell’avvento del web il controllo avveniva verticalmente, da parte dello Stato nei confronti dei cittadini, tramite videocamere poste sul territorio o con la registrazione presso uffici. 

Non in tutti i Paesi è un tipo di sorveglianza appartenente al passato ed un esempio è sicuramente la Cina. 

Con l’utilizzo di spyware all’interno dei cellulari o telecamere dotate di riconoscimento facciale, mette in atto una sorveglianza di massa sull’interno territorio. Ha addirittura progettato un Sistema di Credito Sociale per avere un maggior controllo sui suoi cittadini. Se sei curioso per sapere di cosa si tratta leggi l’articolo SCS: Sistema di credito sociale – oltre la sorveglianza.

Nonostante eccezioni come queste, anche se non sono poi così rare, il tempo ha portato delle novità, si trovano altri tipi di potere che mettono in atto diverse forme di sorveglianza. Notiamo un maggior numero di soggetti che detengono il potere. Ora non sono più solo gli Stati capitalisti a mettere in atto una forma di profilazione ma entrano in gioco anche le aziende. 

3.1 Sorveglianza digitale

Digital Footprint
Immagine di Claudia Agostoni

Si parla oggi di una “sorveglianza digitale”, ma cosa significa? 

Direttamente dalla Treccani, per sorveglianza digitale si intende “il controllo mirato e sistematico dei dati personali, effettuato attraverso sistemi di monitoraggio dei dispositivi telematici, compresi gli smartphone, e il rilevamento delle tracce che si lasciano in Internet.”

Quando Treccani parla di “tracce” parla delle famose digital foodprint, le nostre impronte digitali, disseminate nel web, come ad esempio le nostre abitudini nella navigazione online.

3.2 Sicurezza apparente

Siamo abituati a vedere la rete come un luogo in cui sentirci liberi. Liberi di esprimere noi stessi, le nostre opinioni, i nostri pensieri, le nostre preferenze. Un posto sicuro dove mostrare agli altri ciò che ci appassiona.
Siamo costantemente sotto controllo e nonostante ciò ci sentiamo al sicuro nell’esporre noi stessi. La libertà di mostrarci porta a divulgare anche ciò che solitamente terremmo per noi.

Condividiamo e mettiamo “mi piace” ai post, seguiamo le pagine di nostro interesse, seguiamo gli hashtag degli argomenti che più ci incuriosiscono. Ci sentiamo liberi di condividere post, stringere amicizie e mettere “mi piace” , ma la rete è davvero libera?
La risposta è no, non è libera e non è sicura, o per lo meno lo è apparentemente.

Di per sé è un’organizzazione di più entità separate e ciò implica la presenza e la divisione del potere. Una comunità e tanti individui.

Mentre nel Panopticon la sorveglianza era unilaterale, nella rete il controllo di Internet, delle sue piattaforme e delle sue applicazioni consente una sorveglianza su più livelli. Si mettendo in luce dei rischi per noi utilizzatori e si formano delle relazioni di potere asimmetriche.

3.3 Una gabbia di regole

I social network hanno delle regole.

Nel Panopticon, in quanto carcere, vi erano logicamente delle regole che i detenuti erano costretti a rispettare. Non c’era alcun tipo di eccezione.

Lo stesso vale per le piattaforme social che richiedono l’adeguamento ad alcune condizioni, dei termini a cui noi utilizzatori dobbiamo sottostare, sempre se vogliamo far parte della comunità online

La guardia invisibile del Panopticon la si trova quindi anche all’interno dei social. Questa vincola al rispetto di obblighi per non essere puniti e quindi nel caso dei social network per non essere segnalati o eliminati.

Questa libertà apparente porta noi utenti ad essere nella stessa situazione dei carcerati prigionieri nel Panopticon.

Dei prigionieri nel web. Sempre controllati e giudicati all’interno della comunità in cui ci sentiamo liberi e legati ad altri individui con cui crediamo di avere interessi in comune.

Facciamo parte di un gruppo, di una società, tramite il concetto di “amici” o “follower”. Condividiamo per ottenere reazioni dagli amici o per guadagnare follower: noi utenti facciamo di noi stessi uno strumento di comunicazione. Ma sempre nel rispetto delle regole che ci vengono imposte, in questo caso le famose condizioni d’utilizzo.

4. Panopticon, social media e… dati

4.1 Plantir technologies

Palantir Technologies
Immagine di startmag.it

Partiamo da un esempio interessante che ci permette di vedere come l’evoluzione tecnologica porta novità in ambito di sorveglianza grazie allo sfruttamento dei dati personali. Ed è qui che entra in gioco Palantir Technologies.

Sono sicura che il nome non vi è del tutto sconosciuto e infatti deriva proprio da “Il Signore degli Anelli”.

I Palantiri, chiamati anche Pietre Veggenti, sono dei manufatti che permettono di vedere delle immagini di un’altra parte del mondo.

Ed è qui subito chiaro il collegamento.

L’azienda Palantir Technologies è l’ideatrice di due principali software che sono in grado di elaborare una grande quantità di dati.

Grazie a questi programmi è possibile identificare connessioni, modelli e tendenze così da aiutare le aziende e le organizzazioni a prendere le decisioni migliori. Il progetto è stato molto proficuo, infatti data la difficoltà di gestire i dati e farne un buon utilizzo molte sono le aziende che si sono appoggiate a Palantir nel corso degli anni.

Di grande impatto è stato il ruolo attivo che ha avuto nella battaglia contro il terrorismo e attualmente nella lotta contro il COVID-19. In quest’ultimo caso specifico con la sua tecnologia, Palantir Technologies cerca di rintracciare e contenere la diffusione del virus.

Per avere un’idea di quanti possano essere i dati che l’azienda maneggia ogni giorno, Eric Schmidt, in una conferenza di 11 anni fa, quando ancora era amministratore delegato di Google dichiarò: “C’erano cinque exabyte di informazioni create dal mondo intero tra l’alba della civiltà e il 2003. Ora la stessa quantità di informazioni viene creata ogni due giorni”.

Palantir sintetizza quindi i tanti dati in un’unica piattaforma facilmente leggibili e presentati in diverse forme (tabelle, grafici, mappe, diagrammi, istogrammi ecc…).

I due software creati dall’azienda si basano su un sistema paragonabile a tutti gli effetti ad un Panopticon digitale.

4.2 I dati personali

Parole chiave in questo contesto sono ovviamente “dati personali”.

I dati personali sono tutte quelle informazioni che ci identificano e che sono in grado di definire abitudini di comportamento, stile di vita, situazione economica, tipi di relazioni personali.

Le aziende o i governi, per l’appunto, raccolgono grazie a Internet una serie di dati su noi utenti. Veniamo poi catalogati per creare grandi banche dati che sono utili a due scopi:

  • Una profilazione della personalità volta alla previsione del comportamento.
  • Una profilazione volta alla realizzazione di pubblicità mirata e personalizzata.

Ciò viene fatto per ognuno di noi. Qualsiasi cosa ci venga proposta, un prodotto o servizio che sia, è adattata ai nostri interessi sulla base di ciò che confessiamo al mondo.

Siamo noi utenti a fornire spontaneamente i nostri dati. Li consegniamo direttamente nelle mani delle aziende, tra cui anche le grandi Google e Facebook. Tutti i contenuti che creiamo online sono accessibili. Le informazioni possono essere facilmente registrate, archiviate, catalogate e recuperate in un attimo.

4.3 L’importanza dei dati, un approccio data driven

La raccolta dei dati non è una novità, ma con l’avvento del World Wide Web di Tim Berners Lee, si è assistito ad un grande balzo in avanti. Stessa situazione quando successivamente fa capolino il web 2.0, che si è poi ingrandito con i social network.

I social, come Facebook, insieme ai motori di ricerca applicano un business basato sul data driven.

Cosa significa “data driven”? Per un’azienda avere un approccio di questo tipo significa guardare ai dati come ad una colonna portante di tutto il business e utilizzarli per raggiungere gli obiettivi aziendali.

Un esempio, di cui abbiamo già parlato sul nostro profilo Instagram in occasione di #Wrapped Spotify di fine anno è proprio il modo in cui la piattaforma, che segue un approccio data driven, suggerisca nuovi brani in base alle preferenze dell’utente.

Con questo modo di operare vengono raccolti quotidianamente un’enorme quantità di foto, video, commenti, post, condivisioni ecc… Un vero mercato dei dati

Per renderci davvero conto di quanti dati sono generati quotidianamente vi pongo una domanda: quanti dati produciamo in un minuto? 

Questi sono alcuni delle informazioni esposte da Statista e ci fa capire il potere dei dati non è da sottovalutare. Si stima che nel 2020, quotidianamente siano stati prodotti circa 2,5 quintilioni di gigabyte. A questo punto potremmo definire Facebook e Google in particolare, come delle enormi agenzie pubblicitarie che si rivolgono a noi come ad un pubblico televisivo.

4.4 Facebook e Google: Surveillance Giants

“Google e Facebook dominano le nostre vite moderne – raccogliendo e monetizzando i dati personali di miliardi di persone accumulano un potere senza precedenti nel mondo digitale. Il loro insidioso controllo delle nostre vite digitali mina l’essenza stessa della privacy ed è una delle sfide che definiscono i diritti umani della nostra epoca”

Kumi Naidoo

Surveillance Giants”, i Colossi della Sorveglianza.

Si tratta di un rapporto di Amnesty Internazionale, datato 2019, in cui Facebook e Google vengono accusati di avere un sistema di business che, proprio perché basato su un sistema di sorveglianza, sia incompatibile con i diritti dell’uomo.

Facebook e Google fanno parte dei “Big Tech”, chiamati anche “Big Five”, insieme ai giganti Apple, Amazon e Microsoft.

social media
Immagine di Agostoni Claudia

Facebook, conosciuta da tutti, in quanto a società si trova globalmente in una posizione dominante nel mondo digitale. Non solo per la omonima piattaforma social, ma anche per i servizi di messaggistica e per le applicazioni di cui è proprietaria: WhatsApp, Messenger e Instagram.

Google possiede una quota ancora maggiore rispetto a Facebook. Dal motore di ricerca scaturiscono infatti un’infinità di informazioni. Inoltre, notevole è la posizione egemonica di Google Chrome in qualità di browser e della piattaforma video più grande al mondo, Youtube.

Facebook e Google vanno a formare una vera e propria “piazza globale”, come scrive Amnesty International.

Miliardi sono le persone che sfruttano questi servizi, sono infatti diventati fondamentali per l’interazione che coinvolge tutti noi utenti. Miliardi di utilizzatori e nessuno di questi paga alcun importo, monetariamente parlano. I dati sono il prezzo, sono il nostro mezzo di scambio per poter utilizzare i servizi che ci vengono offerti.

Una moneta che paghiamo costantemente, in ogni momento. Sempre controllati sia nel mondo virtuale che in quello reale (un esempio in questo caso possono essere i dispositivi collegati ai nostri account).

Kumi Naidoo, Segretario Generale di Amnesty International dal 2017, afferma che “Internet è un elemento vitale per permettere alle persone di godere di molti dei loro diritti, ma miliardi di persone non hanno altra scelta se non quella di accedere a questo spazio pubblico accettando le condizioni dettate da Facebook e Google”

Si pone in questa ottica l’incompatibilità della raccolta e dell’analisi dei dati personali con il diritto alla privacy.

L’analisi di così tanti dati è supportata da diversi algoritmi che sono in grado di operare su una tale quantità di informazioni. Gli algoritmi in questione hanno come input i dati personali di noi utenti e come output la definizione di un profilo che deriva dalle nostre esperienze online.

Una macchina di sorveglianza.

Il tutto va ben oltre la semplice barra di ricerca di Google o il social network di Facebook. C’è un vero e proprio tracciamento sul Web.

Come dicevamo prima, grazie ai servizi in proprietà delle due Big Tech di messaggistica e alle applicazioni ognuno di noi è tracciato.

Tutto quello che cerchiamo, che diciamo, che ascoltiamo, che leggiamo… tutto ciò è accuratamente analizzato. Da questi dati si possono dedurre molte caratteristiche che ci appartengono e che costruiscono la nostra identità. Sono in grado di definire il nostro stato d’animo, la nostra etnia, il nostro orientamento sessuale e le nostre opinioni politiche. Per quest’ultimo punto ha fatto molto scalpore lo scandalo di Cambridge Analytica che ha coinvolto Facebook.

Tutte queste informazioni sono attentamente categorizzate e vendute a terzi. Le terze parti sfruttano i dati per orientare gli utenti con campagne pubblicitarie o altri tipi di informazioni.

4.4.1 Facebook e Cambridge Analytica

Grandi società sono in grado di orientare gli utenti e influenzare le loro azioni/reazioni: vi ricordo il grande scandalo di Cambridge Analytica che ha fatto tanto scalpore proprio perché è stato reso noto il modo in cui Facebook tratta i nostri dati personali. 

In quell’occasione la società è stata indagata per la raccolta dei dati appartenenti a 87 milioni di persone grazie a Facebook e influenzare presumibilmente le elezioni USA del 2016 e il referendum sulla Brexit.

Questo episodio ci permette di capire che la raccolta dei dati e la sorveglianza che aleggia su di noi, non sono una cosa lontana. Spesso pensiamo che la sorveglianza sia un qualcosa quasi astratto, che non ci tocca né ci coinvolge.

La sorveglianza digitale è pervasiva, oggi più che mai non ce ne accorgiamo.

4.5 Vuoi tu, utente, rinunciare alla tua privacy? Consenti.

Come un matrimonio, nessuno si oppone.

Quante volte abbiamo cliccato “consenti” o “accetta” senza nemmeno leggere a cosa stessimo dando il nostro consenso? Tante, troppe.

Spesso non siamo consapevoli di quello che accettiamo, non leggiamo in che modo avverrà il trattamento dei nostri dati personali. Ma in tante altre occasioni invece, sappiamo benissimo perché acconsentiamo.

Rinunciamo volontariamente alla nostra privacy e ai nostri dati in cambio di servizi “gratuiti”. Come abbiamo spiegato prima li definiamo gratis anche se in realtà il servizio lo paghiamo eccome: la moneta è rappresentata dai nostri dati.

Perché rinunciamo alla privacy? Cosa ci porta a voler rendere reperibili i nostri dati?

Accettiamo la profilazione, la pubblicità mirata e a questo punto la sorveglianza di massa per poter usufruire di prodotti, servizi, applicazioni e piattaforme.

E di ciò siamo consapevoli.

L’utente si imprigiona da solo in quello che è il Panopticon della rete, ma non si rende conto della pervasività del controllo.

Siamo disposti a rinunciare alla nostra privacy ma questo equivale alla rinuncia alla nostra identità, alla nostra libertà. I dati di tutti noi lasciano delle tracce che possono essere sfruttate da aziende, grandi o piccole che siano, governi o altre istituzioni per mettere in atto un controllo sulle nostre vite.

Un controllo perfetto, nessuno vuole fuggire da questa sorveglianza piena di likes, follow e share.

Si comprende fin da subito un’accettazione da parte nostra, una tolleranza sociale, verso questo tipo di sorveglianza.

“Noi, come nel Panopticon, siamo rinchiusi in gabbie, anche se invisibili all’occhio, e abbiamo timore di agire per paura delle possibili conseguenze. Abbiamo paura di pensare fuori dagli schemi che regolano i social.”

Culture digitali

4.6 Il Garante per la privacy: cosa fare?

Siamo nel 2014 e alla domanda “Come si può regolamentare il potere dei colossi della Rete?” posta in un’intervista ad Antonello Soro, l’allora Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, egli risponde che “Il potere consolidato dai “giganti del Web” non può essere ignorato in una società sempre più digitalizzata”.

Questo perché, prosegue, “i dati raccolti finiscono nelle mani di soggetti privati dominati prevalentemente da logiche di mercato e di profitto, ma possono essere anche utili a veicolare determinate idee all’individuo o a monitorarne le preferenze, realizzando forme di controllo capillari ed invasive. In tale contesto la privacy rappresenta uno strumento necessario per difendere la libertà e per opporsi alle spinte verso una società della sorveglianza e/o della classificazione e selezione sociale.”

I social network rappresentano il luogo più proficuo per la raccolta dei dati e di conseguenza per mettere in atto una sorveglianza di massa.

I dati prodotti direttamente dagli utenti sono utili alla personalizzazione ma non solo, si rilevano i nostri comportamenti.

Cosa possiamo fare per proteggerci? Per proteggere la nostra indipendenza e la nostra privacy?

L’Europa, grazie al GDPR, sta prestando negli ultimi anni molta attenzione alla questione del trattamento di dati personali.Sono tante le occasioni in cui i social sono stati sfruttati per scopi di sorveglianza, e forse sono causate dalla mancanza di regole internazionali e globali.

A livello europeo il GDPR si occupa principalmente del trattamento dei dati personali con un focus sul consenso da parte dell’utente.

Ma in concreto, cosa possiamo fare per non rimanere imprigionati?

In Italia, il Garante per la protezione dei dati personali propone 10 consigli utili tra cui 3, a mio parere, sono particolarmente degni di nota all’interno del nostro discorso:

  • “Occhio ai cavilli”;
  • “Fatti trovare solo dagli amici”;
  • “Più social privacy, meno app e spam”.

Il Garante sulla privacy ci dice: informati e attenzione ai cambiamenti! Proprio come nei contratti bisogna prestare attenzione alle piccolezze, alle così chiamate “clausole”. Questo è ciò che ci consiglia nel primo punto utile.

“Informati su chi gestisce il social network e quali garanzie offre rispetto al trattamento dei dati personali. Ricorda che hai diritto di sapere come vengono utilizzati i tuoi dati.”

Presta attenzione alle impostazioni e cerca la dicitura “privacy” o “privacy policy”, qui troverai le informazioni che ti servono.

Ma non basta una lettura generica e superficiale. Bisogna accertarsi “di poter recedere facilmente dal servizio e di poter cancellare (eventualmente anche di poter salvare e trasferire) tutte le informazioni che hai pubblicato sulla tua identità.”

È necessario tenersi aggiornati sui cambiamenti che i social apportano sulle proprie piattaforme.

Nel secondo punto il Garante vuole portare alla nostra attenzione la sorveglianza che viene messa in atto tramite geolocalizzazione. Il consiglio è quello di disattivare questo tipo di funzione che sono presenti sulle “app” dei social network, così come sullo smartphone e sugli altri strumenti che utilizzi per collegarti a Internet.”

Avere lo smartphone sempre con sé implica il comunicare costantemente dove ci troviamo, da dove siamo partiti e dove stiamo andando.

In ogni social è possibile regolare il livello di privacy del nostro profilo. Possiamo decidere chi può vedere il nostro profilo, chi può leggere o condividere i nostri post e chi può commentare le nostre pagine.

È importante limitare “al massimo la disponibilità di informazioni”.

Per ultimo, il Garante per la protezione dei dati personali ci mette in guardia anche sui diritti di accesso che concediamo alle applicazioni installate sui nostri telefoni o tablet. È necessario limitare le loro possibilità di utilizzo dei nostri dati personali senza il nostro consenso diretto. Spesso quando installiamo una nuova applicazione ci viene chiesto “Consenti a *nome dell’app* di accedere al tuo microfono/fotocamera/galleria”.

Infine, il Garante ci rassicura ricordandoci che “se non desideri ricevere pubblicità, ricordati che puoi rifiutare il consenso all’utilizzo dei dati per attività mirate di pubblicità, promozioni e marketing.”

Questi sono importanti e utili consigli per preservare la nostra privacy e aumentare il livello della nostra protezione.

5. Conclusioni

Ci troviamo in un mondo online in tutto e per tutto simile a quello offline. Se prima la sorveglianza avveniva tramite telecamere “fisiche”, ora la “telecamera”, ciò che ci controlla, l’abbiamo sempre con noi, nelle nostre tasche.

Siamo controllati e influenzabili, come lo siamo nel mondo “reale” ancor di più lo siamo in quello “virtuale”.

Per concludere vi consiglio la visione, se già non lo conoscete, del film “The Truman Show” che esalta perfettamente la prospettiva, quasi inquietante, del controllo che c’è sulle nostre vite e sulle nostre menti.

Nel film, la vita di Truman Burbank è oggetto di spettacolo. Le telecamere offrono una vetrina sulla sua quotidianità. Ovviamente il protagonista ne è all’oscuro fino al momento in cui una serie di insolite situazioni lo mettono di fronte alla verità dei fatti: la sua intera vita, senza filtri, vista dagli occhi di tutti.

Questo film diretto da Peter Weir nel 1998, famoso per l’interpretazione di Jim Carrey, affronta in modo impeccabile un tema oggi così discusso.

La prospettiva estremizzata nella pellicola non è poi così lontana dalla realtà che viviamo oggi.


Fonti

Tema Sorveglianza

Agenda digitale (2019), Sorvegliati e contenti: così i social hanno realizzato la forma di controllo perfetta

Agenda digitale (2020), Tecnologie per la sorveglianza di massa crescono. Che possiamo fare?

Culture Digitali (2019), Sorveglianza digitale: siamo tutti in gabbia?

Culture Digitali (2019), Noi, parte del Panopticon

Culture Digitali (2015), Deleuze – Sovereignty e Società del Controllo

Giornale Pop (2019), Prigionieri nel Panopticon virtuale

Philosophy fo change (2012), Foucault and social media: life in a virtual panopticon

The Guardian (2015), What does the panopticon mean in the age of digital surveillance?

Treccani, Neologismi 2020, Sorveglianza digitale

Ucl University, Bentham Project, Panopticon Pandemonium: bringing to life Bentham’s unrealised prison

Ucl University, PanoptiCam, About PanoptiCam

L.M, M.K., V.S., D.G. (2014), Social Media profiling: a panopticon or omniopticon tool?

L. Leonini, P. Rebughini, Guerini Scientifica (2009), Letture di sociologia

Tema Marketing

Digital4 (2020), Data-Driven: cosa significa e perchè un approccio basato sui dati è importante in azienda

Garante privacy, Cosa intendiamo per dati personali?*

Wired (2019), Useremo davvero i dati personali per pagare? 4 scenari nel 2030

Tema Diritti umani

Amnesty International (2019), La sorveglianza da parte di Facebook e Google minaccia i diritti umani

Immagine di copertina di Gerd Altmann

2 thoughts on “Panopticon e social media: la sorveglianza nel mondo digitale”

  1. Ho studiato il Panopticon qualche anno fa ma devo dire che non avevo mai pensato alla società moderna sotto questa prospettiva! Ottimo lavoro!

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