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Lo scandalo di Cambridge Analytica

Hai mai sentito parlare dello scandalo di Cambridge Analytica? Non molto tempo fa la nostra Claudia in uno dei suoi articoli ci ha consigliato il film The Great Hack – Privacy Violata (lo trovi su Netflix, metto il link diretto per te che sei pigro). Nel caso te lo fossi perso, trovi qui la scheda film e qualche interessante riflessione per poterti preparare da vero espertone alla lettura di questo articolo.

Lasciare tracce

Molto spesso svolgendo le nostre attività in rete lasciamo tracce, un po’ come le briciole di pane nella favola di Pollicino. Peccato che queste non servano ad aiutarci a trovare la strada di casa, ma anzi conducono aziende e inserzionisti verso la nostra sfera privata. Questo sembrerebbe alquanto spaventoso, soprattutto visto che non sempre sappiamo a cosa andiamo incontro navigando in Internet. Anche un’informazione poco rilevante (tipo qual è il tuo gusto di gelato preferito) potrebbe voler dire tante cose di te.

Questo per dirti che tutte le informazioni che “cedi” alla rete, ricavabili senza problemi dai siti web che visualizzi, possono essere usate davvero a qualsiasi scopo. Persino a condizionare la vittoria di un leader politico.

In questo articolo ti racconterò di una vicenda avvenuta qualche anno fa che vede protagonisti Facebook e Cambridge Analytica, una società di consulenza britannica il cui nome è divenuto celebre a seguito di uno scandalo connesso alla gestione dei dati per influenzare le campagne elettorali degli Stati Uniti.

Due paroline sulla politica ai tempi del web 2.0

Le attività di propaganda politica si sono sempre storicamente fatte in piazza. A un certo punto però le piazze sono diventate i social, allontanando fisicamente folla e i politici, che grazie ai nuovi mezzi di comunicazione hanno cominciato a entrare direttamente nelle case degli elettori.

Che l’attività politica si stia radicalmente trasformando dall’introduzione delle nuove tecnologie emerge chiaramente dalla cronaca quotidiana degli ultimi anni. Basti pensare al fatto che ormai tutti i politici possiedono i propri personali canali di comunicazione, e li sfruttano al meglio (o al peggio) delle loro possibilità.

L’utilizzo dei canali mediatici è ormai diventato rilevante nel determinare vincitori e sconfitti in ogni momento elettorale. La comunicazione politica online può giocare un ruolo importante nel creare un gruppo di sostenitori ampio, soprattutto in un contesto 2.0 sempre più governato dal pubblico giovanile. Se il personaggio politico riesce a costruirsi una buona immagine e un largo seguito, gli sarà più facile mantenere il consenso.

I messaggi politici da sottoporre, se non vogliamo definirli personalizzati perché il termine un po’ inquieta, sono altamente strutturati. Decine di migliaia di messaggi diversi dicono una cosa sola: conosco il tuo problema e ti darò ciò di cui hai bisogno.

Ombre su Cambridge Analytica

Cambridge Analytica è stata fondata nel 2013 da Robert Mercer, un miliardario imprenditore statunitense. Le attività principali dell’azienda erano quelle di raccogliere dai social network un’enorme quantità di dati sugli utenti che li utilizzavano. I “like” ai post, i contenuti dove lasciano il maggior numero di commenti, il luogo da cui condividono e così via. Tutte le informazioni venivano poi elaborate da algoritmi in grado di creare profili accuratissimi di ogni singolo utente. Più informazioni venivano prese in analisi e più era preciso il profilo di ogni utente.

Negli anni l’azienda, compreso l’enorme potenziale e il possibile guadagno ricavabile dalle loro attività, ha cercato di acquisire sempre più informazioni sulle abitudini e i consumi delle persone. Ricordi cosa ti ho detto sulle tracce che lasciamo in rete? Ogni tuo singolo “movimento in rete” verrebbe monitorato da un sistema di “microtargeting comportamentale”, cioè un’insieme di tecniche pubblicitarie che farebbero leva sulle tue emozioni. In pratica, se una sera in preda alla tristezza metti like a un post di Charles Bukowski su quanto sia difficile la vita da quando la fidanzatina ti ha lasciato, l’azienda sarebbe stata in grado di usare quel momento di debolezza contro di te.

Il metodo utilizzato combinava il data mining (l’intermediazione e l’analisi dei dati) con la comunicazione strategica per la campagna elettorale. In pratica Cambridge Analytica era in grado di sfruttare il profilo psicologico di ogni utente per individuarne una precisa personalità ed impacchettare messaggi ad hoc. Per una data campagna politica, i dati erano abbastanza dettagliati da poter creare dei profili ai quali suggerire che tipo di pubblicità sarebbe stato più pertinente al fine di persuadere una particolare persona, in una particolare posizione, per qualche evento politico.

«Convincere qualcuno a votare un partito non è molto diverso da convincerlo a comprare una certa marca di dentifricio»

Richard Robinson, ex-manager di Cambridge Analytica

In che modo era coinvolto Facebook?

Nel 2014, un ricercatore dell’Università di Cambridge, Aleksandr Kogan, realizzò un’applicazione che si chiamava “thisisyourdigitallife”. La finalità era produrre profili psicologici e previsioni del comportamento umano, in base alla propria attività online. Per utilizzarla gli utenti dovevano collegarsi utilizzando Facebook Login, che consente di iscriversi a un sito senza il bisogno di creare nuove credenziali, utilizzando invece una verifica effettuata da Facebook. Nonostante l’apparente gratuità del servizio, in realtà all’applicazione venivano ceduti i dati degli utenti che la utilizzavano (cosa molto comune per il modello di business di queste realtà).

Dopo appena un anno quasi 300mila persone si iscrissero all’applicazione tramite Facebook Login, accettando il compromesso di condividere alcune delle loro informazioni personali. E fin qui nulla di così scandaloso, dal momento che la raccolta dei dati veniva comunque fatta in piena trasparenza.

La cosa preoccupante è che all’epoca Facebook permetteva ai gestori delle applicazioni di raccogliere anche alcuni dati sulla rete di amici della persona appena iscritta. In questo modo l’applicazione riuscì a memorizzare informazioni su 50 milioni di profili. Quello che ne risultò fu un enorme database contente informazioni di diversi tipo non solo degli utenti che consapevolmente avevano deciso di installare l’applicazione, ma anche delle loro cerchie personali che si ritrovavano coinvolte senza volerlo.

Il problema nacque quando Kogan condivise tutte queste informazioni con Cambridge Analytica, violando i termini d’uso di Facebook che vieta ai proprietari di applicazioni di condividere con le famosissime terze parti i dati che raccolgono sugli utenti. Temendo una sospensione degli account fu la stessa Cambridge Analytica ad autodenunciarsi con Facebook, dicendo di avere scoperto di essere in possesso di dati ottenuti in violazione dei termini d’uso.

Elezioni truccate?

Abbiamo detto che Cambridge Analytica fosse di proprietà del miliardario Robert Mercer, famoso per aver sostenuto diverse campagne di candidati conservatori in diversi paesi. Nel 2014, ai vertici della società c’era Steve Bannon, il celebre ex capo stratega di Donald Trump. A tutto questo si aggiunge poi che l’azienda britannica londinese ha collaborato a due delle campagne elettorali vincenti più importanti dell’ultimo decennio, tra cui proprio quella di Trump. Coincidenze? Noi di Profilamy siamo sempre imparziali, lo sapete. Non ci sono prove certe per sostenere che il merito della vittoria del leader conservatore fosse tutto di Cambridge Analytica. Ma è evidente che a sostegno di questa tesi ci sono indizi rilevanti.

Assumersi le proprie colpe

Durante la sua testimonianza al Congresso il 10 aprile 2018, Mark Zuckerberg si è assunto la responsabilità dell’errore definendolo come “personale”, e sostenendo anche di non aver fatto abbastanza per prevenire una situazione del genere. Il CEO di Facebook si è pubblicamente scusato per la violazione dei dati:

«È stato un mio errore, e ne sono dispiaciuto. Io ho creato Facebook, io lo mando avanti, e sono io il responsabile di ciò che accade.»

Mark Zuckerberg, CEO di Facebook

Il caso Cambridge Analytica ha scosso l’opinione pubblica perché ha reso noto il meccanismo di gestione dei dati personali che sta dietro i social network. Facebook, ad esempio, nonostante la sospensione degli account, continua ad avere un enorme difficoltà nel garantire che non si faccia un uso non autorizzato dei nostri dati. Lo stesso problema riguarda anche buona parte delle altre aziende attive online e che offrono gratuitamente i loro servizi, in cambio della pubblicità e della raccolta di informazioni sugli utenti.

Fonti

Agenda Digitale (2019), Politica innamorata dei social, ma a soffrire è la democrazia

ilPost (2018) Il caso Cambridge Analytica

Immagine di copertina:  Book Catalog (Flickr)

2 thoughts on “Lo scandalo di Cambridge Analytica”

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